Che sia l’inizio di un nuovo anno o l’inizio di un nuovo cliclo di vita, siamo tutti portati a fare dei bilanci, a chiederci cosa ha funzionato e cosa no nella nostra vita. Spesso ci poniamo anche degli obiettivi e a volte questi ci possono realmente spronare a fare di più o meglio. Personalmente mi sono posta l’obiettivo di dedicare più tempo alla lettura.
Tuttavia, la famosa lista dei “buoni propositi” può diventare controproducente, soprattutto se guidata da convinzioni errate e dalla paura sotterranea di non riuscire a farcela davvero. Il rischio maggiore è che questa lista si riempia di grandi obiettivi oggettivamente irrealizzabili o di obiettivi molto facilmente raggiugibili. In ogni caso non avviene una reale crescita interiore o il fiorire di consapevolezza. Allora cosa fare?Forse due conti, onesti, sinceri e autentici. Sarebbe anche utile dirsi che si è fatto il massimo e che forse era tutto quello che si è riusciti a fare, che si potrebbe anche fare di più, ma di più per chi?
Se l’obiettivo più grande diventa la nostra felicità, tutto viene ridimensionato alla luce di questo e ogni sacrificio fatto fino ad ora, ogni successo o fallimento rappresenta il nostro vivere e protendersi verso la felicità. Una felicità che non dipende dalle circostanze e dai venti, una felicità profonda e radicata, che trova la sua massima espressione nelle relazioni, di cui si nutre e che a sua volta nutre. Spesso però si ha paura del cambiamento, perché ciò che ci si lascia alle spalle, per quanto possa recare sofferenza e/o insoddisfazione, è ciò che conosciamo e ci è familiare.
Il primo grande ostacolo al cambiamento è proprio la paura di possibili scenari futuri di fallimento. E se fallire non fosse la fine del mondo?Se fallire fosse l’unico modo per vincere le proprie paure?Se il fallimento potesse insegnarci come essere autenticamente felici?
In un’intervista dedicata al lungo lavoro che aveva portato Edison alla creazione e commercializzazione della lampadina elettrica ad incandescenza, egli affermò: “Non ho mai fallito. Ho semplicemente trovato 10.000 modi che non funzionavano”.
Se un fallimento insegna qualcosa, non è mai un vero fallimento, o meglio rappresenta l’esatto punto da cui ripartire, onestamente e determinati a vincere. Basta leggere una qualsiasi biografia di personaggi illustri per comprendere quanto la loro vita sia stata anche costellata di fallimenti, e che proprio questi spesso hanno portato al successo.
E’ vero anche che bisogna accettare la caduta, senza trovare scuse, avendo comunque fiducia nelle nostre gambe e nella loro capacità di farci rialzare (anche un pò di gratitudine non guasta). Per rialzarci ci appoggiamo proprio sul punto in cui cadiamo, così come per vincere partiamo da dove si è fallito.
Quello che ostacola una crescita dopo il fallimento è il senso di colpa, il sentirsi vittima degli eventi e delle circostanze e la svalutazione. Accettare di essere responsabili dei propri fallimenti, ha il vantaggio di sentire il potere di trasformarli in vittorie, uniche e personali. Una vittoria che non arriva a noi come una medaglia, piuttosto come conquista su noi stessi, sulle nostre paure e fragilità.
Un buon anno a tutti, che ci trovi più onesti e sinceri con noi stessi, ma anche fiduciosi nelle nostre risorse e nella nostra creatività.
Sono psicologa e psicoterapeuta espressiva specializzata in arte terapia e lavoro con bambini, adolescenti, gruppi e adulti. Mi occupo di consulenza e sostegno psicologico in molteplici ambiti (relazionale, familiare, scolastico e genitoriale), percorsi di psicoterapia e conduzione di gruppi di arte terapia. Nel mio lavoro includo l’utilizzo di materiali artistici per favorire l’attivazione del proprio processo creativo e sfruttare il potere insito nello sviluppo della propria creatività.