“Quando un uomo siede due ore in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa rovente per un minuto e gli sembrerà che siano passate due ore. Questa è la relatività”
Albert Einstein
Viviamo ormai da più di due settimane in quarantena, in attesa di aggiornamenti continui e decreti divenuti sempre più restrittivi.
Abbiamo visto e vissuto sentimenti polarizzati come accade in tutte le situazioni estreme: si è prima minimizzato il pericolo per poi vivere con ansia e incertezza il futuro e l’aggravarsi di una situazione che, nonostante i detrattori iniziali, è stata dichiarata “pandemica”. Così un virus con la sua corona ci ha ordinato di stare a casa, di non abbracciarci, di mantenere le distanze fra noi e molto altro.
Ma come abbiamo vissuto e percepito il tempo, e come lo stiamo ancora facendo, in questa quarantena? Di che tempo si tratta? Parlando di tempo, qui mi riferisco al tempo soggettivo, a quello vissuto: un tempo relativo.
Osservando le reazioni più diverse nelle persone intorno a noi, così come in noi stessi, abbiamo potuto constatare probabilmente come in queste settimane il tempo, che pure sembra dover essere il medesimo, sia già cambiato molte volte.
C’è il tempo sospeso, quello vissuto tra un decreto e l’altro, che diminuisce la portata dei nostri spostamenti.
C’è il tempo dilatato, quello delle settimane di misure restrittive, che già percepiamo debbano prolungarsi oltre quanto stabilito, allontanando ancora la fine di un periodo che sappiamo finirà. Sì, ma quando?
C’è il tempo dei “buoni propositi”, quel tempo in cui cerchiamo di creare una routine, di allenarci in casa, di creare nuove abitudini a scandire le nostre giornate. Cerchiamo di ritagliarci i nostri spazi in un momento di convivenze totali, a volte forzate (i nostri animali domestici pare non ci sopportino più!).
C’è anche il tempo del “motto di spirito” (#andràtuttobene). Un tempo che come un’onda sale e ti porta su nell’euforia, senza prepararti troppo alla discesa che ne seguirà naturalmente.
Questo virus ci costringe a stare in casa, ma forse quello che più di tutto ci costringe a fare è stare nel silenzio, ascoltare il silenzio e chiederci: “Ma il silenzio che suono ha?”
Nel silenzio possiamo sentire l’eco delle nostre paure e se non vogliamo sentire può accadere che ci rifugiamo nell’apatia o in maratone di telefilm su Netflix, oppure ci rifugiamo in cucina, tra i fornelli. Sia chiaro che se non siamo pronti ad ascoltare questo silenzio va benissimo lo stesso. Anzi, ci farà sicuramente bene intrattenerci con il rumore della routine, con le sue scansioni, con le fiamme dei fornelli accesi, che ora più che mai non nutrono solo il nostro corpo.
Va bene, se ne abbiamo bisogno, anche sprofondare nell’apatia di una giornata in cui proprio non si ha voglia di essere propositivi, di “formarsi da casa” o d’imparare una nuova ricetta.
Abbracciamo tutto di noi, con clemenza, ora più che mai. Abbracciamo anche l’apatia, l’umore più basso e siamo gentili con quelle giornate in cui vogliamo essere “spenti”. Tuttavia, con calma e con dolcezza abbracciamo anche tutte le emozioni provate in questi giorni, la soddisfazione di nuove conquiste (per lo più digitali), i libri letti, ma anche quelli che avremmo voluto leggere.
Abbracciamo tutto e poi lasciamo andare. Prendiamo coraggio e sgombriamo il campo da tutto, apriamo la finestra e facciamo entrare luce e aria, se necessario socchiudiamo gli occhi e facciamo un profondo respiro. Poi rimanendo in ascolto sentiamo un po’: IL SILENZIO CHE SUONO HA?
Stamattina io l’ho fatto.
Il perché è stato dettato da una necessità che è nata e per fortuna ho ascoltato. In queste settimane ho cercato fin da subito di reagire prontamente, come molti, di riorganizzarmi, di cogliere le opportunità del #iorestoacasa.
Tante le idee emerse, nuove sfide, come vedere su Skype pazienti che normalmente vedo in studio, molti i nuovi piatti cucinati, le ricette imparate, la musica ascoltata, i disegni fatti. Ma non solo questo, c’è anche lo spaesamento, la stanchezza e la voglia di avere vicino una famiglia assai lontana e dover tenere distanti gli amici che abitano vicino.
E dopo? La resa.
Mi sono ricordata che non dobbiamo sempre e solo reagire, possiamo non solo stare a casa, ma anche fermarci davvero e accogliere quello che in un ritmo frenetico, per cui adesso sentiamo una strana nostalgia, ci può sfuggire. Forse possiamo anche pensare di accogliere tutto ciò che questa situazione estrema ci sta facendo vivere, ma in che modo?
Sarò di parte, ma la creatività può aiutarci molto in questo momento. Ritagliarsi un tempo non tempo. Fare entrare il silenzio necessario.
Cosa ho fatto nel concreto? Sfondi emotivi e collage.
Ho ritagliato piccoli rettangoli di carta da acquerello e ho creato degli sfondi, senza troppo pensarci. Sfondi che partivano come sfumati, ma che poi acquisivano strati e consistenze, quasi tridimensionali. Li ho chiamati “sfondi emotivi”. Sfondi pronti ad accogliere senza fretta, ma nel tempo sospeso, dilatato e piacevole del fare creativo. Poi ho sfogliato delle riviste, ho ritagliato delle frasi, che mi aspettavano, pronte a dirmi qualcosa che aveva l’urgenza di mostrarsi.
Vi faccio una proposta e un invito:
In questi giorni di quarantena proviamo a raccogliere ogni giorno qualcosa: uno sfogo, una foto, un’idea, una frase detta, una frase sentita, anche niente.
Mettiamo tutto insieme, perché quando tutto finirà avremo bisogno di raccogliere i frammenti di questa esperienza, di ricominciare e avremo una percezione di noi stessi necessariamente diversa, che potrebbe portarci a sentirci smarriti.
Questi giorni possono ingannarci con percezioni distopiche, influenzabili, labili e fluttuanti, ma poiché in ogni cosa c’è una verità, conserviamo qualcosa di questi giorni. Sospetto che potrebbe tornarci utile!
Sono psicologa e psicoterapeuta espressiva specializzata in arte terapia e lavoro con bambini, adolescenti, gruppi e adulti. Mi occupo di consulenza e sostegno psicologico in molteplici ambiti (relazionale, familiare, scolastico e genitoriale), percorsi di psicoterapia e conduzione di gruppi di arte terapia. Nel mio lavoro includo l’utilizzo di materiali artistici per favorire l’attivazione del proprio processo creativo e sfruttare il potere insito nello sviluppo della propria creatività.